Marino Bruni ha un'officina, una figlia amatissima di nome Claudia e una ex moglie, Simona, che ha appena ottenuto il divorzio da lui. Il tribunale gli ha accordato di passare con la figlia i martedì e i venerdì, e da quel momento il suo tempo è scadenzato da quei due giorni della settimana. "Al tempo devi dare un valore", dice Marino in voce fuori campo in un prologo che è anche un epilogo, e per lui il tempo che ha un valore è quello da passare con Claudia, accompagnandola alle lezioni di nuoto in piscina.
Ma una cartella del Fisco da 50mila Euro lo costringe a chiudere l'officina e a cercare lavoro per potersi pagare un appartamento dove la figlia possa trascorrere con lui le notti dei giorni comandati. E il lavoro, in tempi di crisi, non si trova con facilità, tranne quello sporco, che per Maino è incarnato da Cioccolatino, un rapinatore di supermercati che ha bisogno di qualcuno disposto a guidare la moto della fuga. Messo alle strette Marino accetta, e le conseguenze saranno immaginabili.
Martedì e venerdì (il cui titolo sembra richiamare Il giovedì di Dino Risi, anche quello malinconica parabola su un padre separato che trascorre un po' di tempo con il figlio) è il secondo film da sceneggiatori e registi di Alessio De Leonardis e Fabrizio Moro, quest'ultimo anche autore delle musiche originali, e segue il debutto con Ghiaccio, anch'esso ambientato nelle periferie degradate della Roma periferica.
Martedì e venerdì si muove in un habitat più in bilico fra rispettabilità e criminalità suburbana, e anche Marino mantiene un equilibrio precario fra la vita piccoloborghese che divideva con Simona e quella pericolosa che gli garantisce un minimo di sopravvivenza.
In gioco c'è soprattutto la dignità di un uomo di 45 anni che "non sa stare a galla" in un mondo che glielo rende quasi impossibile, fra lavori sottopagati, crediti inesigibili e debiti gonfiati dalla "usura di Stato". Martedì e venerdì sfiora la vittimizzazione degli uomini (e la colpevolizzazione delle donne) in base alle regole del diritto di famiglia, ma per fortuna l'interpretazione empatica di Rosa Diletta Rossi nei panni di Simona e alcune battute in sceneggiatura scantonano (anche se di poco) l'equiparazione tout court fra il divorzio "che dà sempre ragione alla madre" e le altre "ingiuste gabelle" della contemporaneità.
Edoardo Pesce presta con la consueta competenza la sua fisicità massiccia e il suo sguardo dolente a questo povero Cristo che si aggira per supermercati di campagna e una suburbia squallida e triste, aggrappandosi a Claudia come ad un paio di braccioli da piscina. Intorno a lui si aggira un sottobosco molto (troppo?) spesso rappresentato dal cinema italiano contemporaneo, e la sceneggiatura compie l'errore di essere piuttosto prevedibile, segnata da simbologie evidenti e da coincidenze eccessivamente funzionali alla trama. A funzionare davvero invece sono l'atmosfera sommessa e la regia asciutta, senza fronzoli, sostenuta dal commento musicale in cui si riconoscono le sonorità accorate tipiche del cantautore Fabrizio Moro.
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